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Tutte le guerre si somigliano..

CS. TUTTE LE GUERRE SI SOMIGLIANO

PIEMONTE – A novembre e dicembre tre comuni della Val Susa saranno protagonisti di quattro eventi contro le guerre. Si tratta di una trilogia di spettacoli teatrali, realizzati da artisti di rilevanza nazionale e del documentario Crossing the Wall. La rassegna è organizzata dalla compagnia torinese Il Mutamento, in collaborazione con la asd NAD di Chianocco e la Pro Loco di San Didero.
Il filo rosso che lega gli eventi vuole essere un forte richiamo a quanto purtroppo sta avvenendo nel mondo e nasce da una domanda: come è possibile che la storia continui a ripetersi e che i media e l’opinione pubblica stiano arrivando ormai a ‘normalizzare’ guerre e genocidi?
I tre spettacoli teatrali porteranno in scena tre diversi punti di vista sulla Prima e Seconda Guerra Mondiale mentre la proposta di Grazia Dentoni è un documentario sulla prima scuola di circo palestinese. Il teatro diventa così un mezzo per guardare al passato, per riflettere sul presente e per accorgersi, come sottolineato dal titolo di uno degli spettacoli – che diventa per l’occasione titolo di tutta l’iniziativa – che “tutte le guerre si somigliano”.
La programmazione inizia venerdì 15 novembre presso la sala polifunzionale di San Didero. Alle ore 20:30 va in scena L’ultima risata, della compagnia sarda Abaco Teatro in cui viene ripercorsa la storia dei comici ebrei che fecero la grandezza del cabaret berlinese negli anni ’30. Uno show dolce-amaro che si muove tra testo, canzoni e balli. A seguire l’intervento della psicogenealogista junghiana Paola Chiesa per riflettere su ciò che sta avvenendo, riconoscendo la potenza dell’inconscio collettivo e favorendo la presa di coscienza sulle dinamiche generazionali e le trasmissioni transgenerazionali.
Venerdì 22 novembre, al salone polivalente, di Venaus va in scena Lager, della compagnia trentina Coop. Teatrale Prometeo, in cui due attori leggono le testimonianze dirette dei deportati nel Lager di Bolzano, intervallate da retroproiezioni di filmati del periodo nazista e delle uniche 12 fotografie esistenti del Lager stesso. Una testimonianza preziosa e intensa che non mancherà di emozionare il pubblico.
Venerdì 6 dicembre si torna a San Didero dove la compagnia Il Mutamento presenta Marta e Olmo – Tutte le guerre si somigliano. In scena due giovani e affiatati attori, in un’opera che affronta la
storia delle portatrici carniche, una straordinaria pagina del Primo Conflitto Mondiale troppo spesso dimenticata.
La rassegna si conclude sabato 7 dicembre a Chianocco, in Terra NAD, con la proiezione del film “Crossing the Wall” della regista cagliaritana Grazia Dentoni dedicato alla prima scuola di circo palestinese e le riflessioni di Paola Chiesa.

PROGRAMMA
Venerdì 15 novembre | ore 20:30 | Sala Polivalente | p.zza Europa | San Didero (TO)
L’ultima Risata
I comici cabarettisti ebrei dai palcoscenici tedeschi ai campi di concentramento
Testi e Regia di Rosalba Piras
Con Tiziano Polese e Rosalba Piras
A seguire intervento della psicogenealogista junghiana Paola Chiesa
Ingresso posto unico: 5,00 €
“L’ultima Risata” di e con Rosalba Piras e Tiziano Polese, autori e interpreti della pièce, li vede nei panni degli attori ebrei Max Ehrlich e Camilla Spira, famosissimi negli anni dal 1920 al 1944, e racconta le loro sorti e quelle di altri famosi comici ebrei ai quali si deve negli anni ‘30 la grandezza leggendaria del cabaret e dello spettacolo leggero mitteleuropeo, in particolare di quello berlinese. In gran parte ebrei, come ebreo era il colore del loro umorismo, la sorte di questi artisti è segnata dall’avvento di Hitler al potere. Espulsi dai set e dai palcoscenici sui quali avevano primeggiato, le loro performance si replicano in condizioni sempre più dure.
L’evocazione del repertorio storico è fatto di canzoni e balli yiddish, dal cabaret tedesco ricco di ballate, sketch degli anni ’30-’40 che i protagonisti interpretano cantando anche in lingua francese, tedesca e yiddish. Gli avvenimenti storici, la loro passione per il teatro, le loro testimonianze, il loro tormentato vissuto, sono scanditi dallo scambio di lettere che
intercorreva fra i due artisti. I comici cabarettisti ebrei sono passati così dai palcoscenici di tutta Europa ai campi di concentramento.
Le vicende di questi personaggi non raccontano soltanto la storia di due comici di grande successo, ma anche la loro profonda amicizia e stima professionale, che li accompagnerà fino alla fine.
L’Ultima Risata è il risultato di una ricerca di Rosalba Piras e Tiziano Polese insieme a Tonio
Cireddu e Franco Saba, curatori del montaggio video e del sonoro originale. Saranno proposte
anche le coinvolgenti danze e musiche tradizionali yiddish sia in video che dal vivo. Di grande
effetto la carrellata finale di foto dei grandi attori ebrei che ieri e oggi, soprattutto nel cinema,
godono di grande fama nella platea mondiale.

Venerdì 22 novembre | ore 20:30 | Salone Polivalente | Borgata 8 dicembre | Venaus (TO)
Lager
dalle testimonianze dei deportati al campo di concentramento di Bolzano
Spettacolo d’attore con letture, proiezioni e musiche
Produzione: Cooperativa Teatrale Prometeo
Con: Sabrina Fraternali – Dario Spadon
Luci e fonica: Daniele Frison
Ideazione, raccolta e organizzazione testi: Andrea Felis
Regia: Dario Spadon
Ingresso posto unico: 5,00 €
La storia
Durante la seconda guerra mondiale, il giorno 11 settembre del 1943, tre giorni dopo l’armistizio stipulato fra l’Italia e gli angloamericani, Adolf Hitler stabilì che le province di Bolzano, Trento e Belluno costituissero la Zona di Operazioni nelle Prealpi (OZAV), a lui sottoposta. Capoluogo dell’OZAV era Bolzano, dove avevano sede, oltre a numerosi presidi militari germanici, il Tribunale Speciale ed uno dei quattro Lager nazisti in territorio oggi italiano. Gli altri erano situati a Borgo San Dalmazzo (Cuneo), a Fossoli di Carpi (Modena) ed a Trieste, quest’ultimo attrezzato anche per l’eliminazione dei prigionieri. Il Lager di Bolzano venne allestito nel quartiere di Gries, accanto all’attuale via Resia, nel mese di luglio del 1944. Vi giunsero uomini, donne e bambini da numerose località dell’Italia centrale e nordoccidentale. Si trattava soprattutto di persone catturate ed arrestate per motivi politici (partigiani, scioperanti, semplici sospettati), ed in parte minore per motivi razziali (ebrei e zingari). Nei dieci mesi della sua attività furono deportate nel Lager di Bolzano circa 11.000 persone, parte delle quali fu poi inviata nei Lager nazisti d’oltralpe con 13 trasporti ferroviari, cinque dei quali diretti a Mauthausen, tre a Flossenbürg, due a Dachau, due a Ravensbrück e uno ad Auschwitz. Il Lager di Bolzano, pur essendo di transito, aveva le stesse caratteristiche dei Konzentrationslager: i prigionieri potevano sostarvi per settimane o mesi e venivano obbligati al lavoro schiavistico. Oltre all’abituale pratica della tortura, ebbero a verificarsi le uccisioni di un numero imprecisato di prigionieri. Il Lager fu dismesso il tre maggio del 1945 e completamento demolito negli anni sessanta. Sul suo terreno vennero costruite case di abitazione. Oggi, a testimonianza della sua esistenza, rimane in piedi solo il muro di recinzione.
Lo spettacolo
Due attori, all’interno di una scena essenziale, leggono le testimonianze dirette dei deportati nel Lager di Bolzano, intervallate da retroproiezioni di filmati del periodo nazista e delle uniche 12 fotografie esistenti del Lager stesso, scattate negli anni ’60.
Parte della colonna sonora è costituita da brani tratti dalla raccolta “Canti dai Lager” pubblicata dall’Archivio Storico del Comune di Bolzano.

Venerdì 6 dicembre | ore 20:30 | Sala Polivalente | p.zza Europa | San Didero (TO)
Marta e Olmo
Drammaturgia e regia Giordano V. Amato
Con Amandine Delclos e Andrea Chiapasco
Produzione Il Mutamento Zona Castalia
Collaborazione produttiva Accademia dello Spettacolo
Ingresso posto unico: 5,00 €
Lo spettacolo
Nel 1915, nel corso della Grande Guerra, nei territori di confine tra Italia e Austria, il cammino del piccolo Olmo, figlio di un’italiana e di un austriaco, incontra quello di Marta, giovane portatrice. Marta conosce la prima linea e, come una novella Antigone, seppellisce i poveri corpi abbandonati, a qualunque schieramento appartengano.
Lo spettacolo narra di due adolescenti che affrontano la paura, la deportazione, la separazione, tutti gli orrori e le mostruosità della guerra che determinerà il loro destino.
Testimonianze vere si inseriscono su una storia fantastica che ha per centro il rifiuto della guerra e l’eroismo al femminile, ignoto ai più.
Gli studi prodotti sulla Grande Guerra negli ultimi anni hanno fornito indagini su aspetti in precedenza trascurati; si pensi all’impatto che la guerra ebbe sulla popolazione civile e al ruolo che quest’ultima, sotto la spinta di una mobilitazione di massa da cui nessuno poté sottrarsi, venne ad assumere all’interno degli ingranaggi della macchina bellica.
Lo spettacolo indaga il ruolo degli adolescenti e delle donne durante il conflitto, ponendo l’accento sulla straordinaria “pagina” delle portatrici carniche, scritta tra l’agosto del 1915 e l’ottobre del 1917, e forse unica nella storia dei conflitti armati.
Le portatrici carniche
La Zona Carnia, ove erano dislocati 31 battaglioni, aveva un’importanza strategica nel quadro
generale del fronte, in quanto rappresentava l’anello di congiunzione tra le Armate schierate in Cadore alla sinistra, e quelle delle prealpi Giulie e Carso sulla destra. Costituiva quindi un’importante difesa dalle maggiori direttrici di movimento del nemico: quelle del Passo di Monte Croce Carnico e del Fella.
La linea di combattimento rifornita dalle portatrici di Paluzza e degli altri comuni dell’Alto But, Sutrio e Cercivento, aveva un’ampiezza di circa 16 chilometri, poiché si estendeva dal Monte, comprendeva inoltre le posizioni arretrate di Monte Terzo e Lavareit.
Tutta la prima linea Zona Carnia e in particolare il Sottosettore Alto But, era particolarmente
“calda”. La forza media presente nella zona si aggirava intorno ai 10-12 mila uomini. I soldati, per vivere e combattere nelle migliori condizioni di efficienza materiale e morale, avevano bisogno giornalmente di vettovaglie, munizioni, medicinali e materiali per rinforzare le postazioni, e attrezzi vari. I magazzini e i depositi militari, dislocati in fondovalle, non avevano collegamento con la linea del fronte, non esistendo rotabili che consentissero il transito di carri a traino animale o di automezzi. La guerra si faceva sulle montagne e i rifornimenti ai reparti schierati dovevano essere portati a spalla. La situazione venutasi a creare con i feroci combattimenti, non permetteva di sottrarre dei soldati dalle linee per adibirli a questo servizio. Ecco quindi che il Comando Logistico della Zona e quello del Genio, chiesero aiuto alla popolazione. Ma a chi? Gli uomini validi erano tutti alle armi, nelle case solo donne, anziani e bambini. Le donne di Paluzza avvertirono la gravità della situazione, e aderirono all’invito drammatico a mettersi a disposizione dei Comandi Militari per trasportare a spalla quanto occorreva agli uomini della prima linea.
Le portatrici furono dotate di un bracciale rosso con stampato il numero del reparto da cui
dipendevano; il carico dei rifornimenti da portare alle prime linee, era mediamente di 30 – 40 kg e anche più. L’età variava da quindici a sessant’anni e, nelle emergenze, potevano essere affiancate anche da vecchi e bambini. Se necessario, venivano chiamate a ogni ora del giorno e della notte.
Ricevettero il compenso di una lira e cinquanta centesimi a viaggio, equivalenti a circa 3,00 € di oggi. In tre furono ferite: Maria Muser Olivotto, Maria Silverio Matiz di Timau e Rosalia Primus di Cleulis. Maria Plozner Mentil fu invece colpita a morte.
Queste donne avevano ereditato la fatica dal loro passato. Abituate da secoli per l’estrema povertà di queste zone, a indossare la “gerla” di casa – che mai come in questo caso può rappresentare il simbolo della donna carnica, ora la mettevano sulle spalle al servizio del Paese in guerra. Fino a allora l’avevano caricata di granturco, fieno, legna, patate e tutto ciò che poteva servire alla casa e alla stalla. In questa situazione invece la gerla era carica di granate, cartucce, viveri e altro materiale. Venne costituito un vero e proprio Corpo di ausiliarie formato da donne più o meno giovani, della forza pari a quella di un battaglione di circa 1.000 soldati. Con disciplina militare, manon militarizzate, partivano a gruppi di 15, 20 senza guide imponendosi una tabella di marcia; a fondovalle, con la gerla carica “attaccavano la montagna” dirigendosi a raggiera verso la linea del fronte. I dislivelli da superare andavano da 600 a 1.200 metri, quindi con due o quattro ore di marcia in ripida salita arrivavano a destinazione col cuore in gola, stremate dalla disumana fatica, che diventava ancor più pesante d’inverno, quando affondavano nella neve fino alle ginocchia.
Scaricavano il materiale, una sosta di pochi minuti per riposare, per portare agli alpini al fronte
qualche notizia del paese e magari consegnare loro la biancheria fresca di bucato, portata giù a valle, da lavare, nei giorni precedenti. Si incamminavano poi in discesa, per ritornare a casa, dove c’erano ad aspettarle i bambini, i vecchi, la cura della casa e della stalla. All’alba del giorno dopo si ricominciava con un nuovo “viaggio”. Qualche volta, per il ritorno veniva chiesto alle portatrici di trasportare a valle, in barella, i militari feriti o quelli caduti in combattimento. I feriti erano poi avviati agli ospedali da campo, i morti venivano seppelliti nel Cimitero di guerra di Timau, dopo che le stesse portatrici avevano scavato la fossa.

Sabato 7 dicembre, ore 18:00, Terra NAD, Chianocco (TO)
Crossing the Wall. La prima scuola di circo palestinese.
Documentario (2007). Durata 47 minuti 
Ideazione e Regia Grazia Dentoni
Crossing The Wall è un film girato a Ramallah nel 2007 da Grazia Dentoni ed è parte del progetto I Teatri di Pace. Nel 2007, allo scoppiare della guerra in Libano, Grazia Dentoni si trova in Israele per una residenza artistica nel deserto del Negev. Qui incontra alcuni artisti palestinesi e collabora alla nascita della prima scuola di circo palestinese a Ramallah. Il film narra della formazione dei trainers e della costruzione dello spettacolo “Circus Behind the Wall” mentre la realtà del popolo palestinese emerge attraverso i racconti di vita dei protagonisti.
“Mi sembra di sgretolarmi come quelle case a Gaza, sotto le bombe, quando sento parlare del ‘conflitto dei conflitti’, quello tra Palestina e Israele”.
Diciassette anni fa fui invitata a fare una residenza artistica di tre mesi nel deserto del Negev, in Israele, ma pochi giorni dopo il mio arrivo scoppiò la guerra in Libano e arrivarono corriere piene di persone che scappavano dalla guerra. Non potevo stare lì a guardare, a cercare l’ispirazione nel deserto… così andai a Gerusalemme e incontrai Pietro, un giocoliere cagliaritano che mi diede il contatto di Shadi Zmorrod, un palestinese con la meravigliosa idea di creare una scuola di circo a Ramallah. Il progetto stava per saltare, perché i trainer, che dovevano arrivare dal Belgio, non potevano più arrivare a causa della guerra. Immediatamente decisi che se ero arrivata lì per qualcosa, questo era il vero motivo per cui ero lì. Mi consegnai anima e corpo alla causa e, visto che nel mio zaino avevo una corda da funambola e un naso da clown, iniziai così l’avventura… Poi feci costruire dei trampoli e cominciai a immaginare uno spettacolo insieme a Shadi… Ma tutto il resto l’ho raccontato nel film. Quello che non ho ancora raccontato è che la formazione dei trainer è stata importantissima, hanno continuato la scuola a Ramallah, hanno fatto molti spettacoli e hanno girato per l’Europa…Qualche anno dopo sono andata a vedere Circus Behind the Wall a Parigi – che emozione è stata… Ognuno dei trainer ora è un artista internazionale e tutti vivono e lavorano in varie parti d’Europa. Due anni fa è venuta a trovarmi Ashtar la ragazzina che faceva il numero con i tessuti, ora lavora e vive tra l’Europa e Ramallah ed è una grandiosa artista di circo contemporaneo. Spesso penso a ognuno di loro, li amo moltissimo e mi chiedo quando e dove ci rincontreremo… Porto con me quel bellissimo suono che vive nella parola šukran: grazie! Ieri mattina pensavo che l’unico antidoto all’odio è l’amore, l’esercizio dell’amore. Dovremmo insegnare questo nelle scuole, come fare a incrementare l’amore, come esercitarlo, come esercitarsi alla bellezza, alla poesia, magari attraverso il teatro e il circo. Solo l’arte può salvare il mondo, esercitiamola!”
Grazia Dentoni
A seguire intervento della psicogenealogista junghiana Paola Chiesa
Ingresso libero fino a esaurimento dei posti