Usanze e personaggi | Comune di San Didero
Regione Piemonte - Città Metropolitana di Torino
Seguici su:

Usanze e personaggi

Usanze

La Vià

D’inverno le persone si radunavano nelle stalle per fare la “vià“. Al calore degli animali si raccontavano le storie, coricati sul “pajon” (giaciglio di paglia), alla tenue luce della  lampada a petrolio e, prima ancora, del lume a olio di noce. Si parlava di fatti e della gente del paese, dei vecchi e del passato, si raccontavano le storie di “masche” (streghe) e di spiriti maligni. Era l’unico momento d’incontro dopo le fatiche della giornata ed era  riservato in particolar modo alle donne.

Il Paschè

Questo termine è riferito ad alcuni luoghi all’aperto, dove si radunavano gli adulti per chiacchierare nelle serate estive.
Il più frequentato era quello della piazza, dove ora c’è la sede del Municipio.

Beilot

C’erano persone che andavano fino a Torino a piedi per prendere alla Maternità bambini abbandonati; tornati in paese li cedevano a chi li richiedeva.
Alcune famiglie ne adottavano anche 4 o 5, cercando in questo modo di sollevarsi un pò dalla miseria, perché ricevevano una certa somma di denaro per ogni bambino.
I trovatelli venivano chiamati “beilot” ed erano molto numerosi, sia in paese che nella borgate di montagna.

Mendicanti

Un tempo pochissime fabbriche assicuravano la pensione: essa divenne obbligatoria solo nel 1923. Per questa ragione erano molte le persone di una certa età che vivevano di elemosina.

All’inizio del secolo passavano anche 7 o 8 mendicanti al giorno. Dormivano nelle stalle; molte famiglie li nutrivano con polenta, latte e burro (lait êd bur, laità).

I mendicanti più noti furono:

  • Teo Cornët;
  • Tone Baio;
  • Maria la ciàta;
  • Balilla;
  • Licita du Ciabatin;
  • Rico dla Combëtta.

Personaggi caratteristici

Mijo

Vedeva il diavolo ovunque; togliendo il letame litigava sempre con il diavolo e cercava di colpirlo con il tridente. Alcuni burloni un giorno vollero fargli uno scherzo: mentre egli stava mescolando la polenta, fecero scendere dalla canna del camino una testa di mucca; da allora Mijo cominciò ad avere una paura tremenda del diavolo, che chiamava “Giuspin“.
Durante la “vià” egli si coricava nel “pajon” (giaciglio di paglia) poi, un pò alla volta, si infilava nelle foglie come una talpa, finché era tutto nascosto.
Improvvisamente, preso da uno dei soliti attacchi contro il diavolo, schizzava fuori e lo caricava di rimproveri.

Per timore di vedere il diavolo, quando faceva cuocere la polenta si metteva uno strano paio di occhiali, fatti con i cocci verdi di bottiglie.

Si rifiutava di mangiare carne di capra, perché “Giuspin“non voleva. Il suo cibo preferito erano le patate con le uova strapazzate.

Licita du ciabatin

Era sorella di Genia, che faceva il becchino con il marito Fian e pascolava le capre nel cimitero. Andava sempre in giro scalza e tutta stracciata. Un giorno Mijo, dietro suggerimento del diavolo, le donò un biglietto da £. 2, ma lei lo ridusse in mille pezzetti, come faceva con tutto quello che le veniva in mano: portava a casa solo il mangiare per i polli. Fu trovata morta su una pietra, poco lontano da casa sua.

Aveva un nipote, “Giusepin”, sul conto del quale si raccontava il seguente aneddoto: avendogli il parroco, durante una lezione di catechismo, chiesto “Vàire Dio aj son?” (“Quanti dei ci sono?”), egli rispose (avendo capito “bijo” – capretti): “2 ant la stala e 1 ant ël gurbin” (“Due nella stalla e uno nella gerla”).

Anna ‘d Pin ‘d Cq

Andava al mercato a vendere fichi, che disponeva in bell’ordine sulle loro foglie. Non sapeva contare.

I ragazzi spesso le facevano i dispetti e lei, per ripicca, portava in Dora, dove essi andavano a fare il bagno, tutti i rottami che riusciva a reperire.

Balilla

Era ancora giovane e prestante, ma era noto come un grande “plandron” (pigro). Prima era chiamato “Signorini” perché camminava sempre tutto impettito:
una volta però lo chiamarono “Balilla” in una stalla ed egli si infuriò talmente che il nome gli rimase.

Era noto anche con il soprannome di “Rete“.

Il poeta

Era il fratello del “Balilla”. Era chiamato così perché amava comporre versi in gioventù. Una lapide nel cimitero vecchio, da lui dedicata al fratello, testimonia il suo estro poetico.

La pendola

Era un uomo chiamato così perché, camminando, dondolava sia il corpo che le braccia. Era chiamato anche Titaro“.